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Oreste
Cavallo
già conservatore del Museo civico archeologico e di scienze naturali «F. Eusebio»
Alba (Cn)
Non ho mai preparato uno scritto senza aver prima consultato qualche testo che, sullo stesso argomento da me toccato, sia stato prodotto da studiosi antichi o moderni, e che fosse raggiungibile in qualche archivio. Non per niente un giorno una collega mi ha definito «necrofilo».
Onorato di questo titolo, inizio col precisare che io considero archivi non solo le raccolte di documenti scritti (su pietra, papiri, pergamena, carta, supporti informatici) ma anche qualsiasi testimonianza storica, letteraria, filosofica, teologica, artistica, naturalistica … prodotta dall’uomo, dall’erbario di un museo (e lo scrivo in lettere minuscole) alla Cappella Sistina (per la quale uso l’iniziale maiuscola).
Chiedo solo che si conosca chi, che cosa, quando, dove, perché della realizzazione, in omaggio alla regola giornalistica dei cinque «w»: who, what, when, where, why.
Faccio un esempio: il recente fascicolo della rivista «Alba Pompeia» da me curato insieme ad Annalaura Pistarino e dedicato al grande botanico albese Carlo Bertero (1789-1831), pioniere delle ricerche floristiche famoso in tutto il mondo, ma del quale gli albesi di oggi ormai più nulla conoscevano. Le 287 pagine dello studio riportano notizie fornite da vari archivi di Torino, Bologna, Ginevra, Saint Louis – Missouri, Parigi, New York, Kew, ecc.
Se non esistessero gli archivi e chi se ne occupa, queste memorie sarebbero anch’esse scomparse in un punto imprecisato dei fondali dell’oceano Pacifico insieme ai resti mortali di Carlo Bertero quando, a 42 anni, «si seppe soltanto il suo naufragio avvenuto nell’estate del 1831, mentre da Otahiti faceva ritorno a Valparaiso, senza nemmeno che si abbiano le circostanze speciali del medesimo, lo che fece credere, che il bastimento su cui era salito siasi intieramente perduto».
Ma tutto questo è solo un triste esempio. Per quel che può valere il mio augurio, io spero che in futuro non si corra il rischio di dover lamentare perdite analoghe o addirittura peggiori di quelle che avrebbe potuto subire la memoria di Carlo Bertero.
E non si pensi che si possa vivere bene lo stesso: parola di «necrofilo».